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L’ozio è parente dell’ansia (per qualcuno)

“Dolce far niente?”

Non certo per tutti.

Se non faccio niente mi viene l’ansia è una frase, diffusa, che descrive una sensazione faticosissima.

È la sensazione di non potersi permettere l’ozio.

Ovvero, non potersi concedere momenti di riposo senza impegnare il proprio tempo.

Per qualcuno, è impossibile pensare di trascorrere una giornata a rilassarsi, semplicemente.

Senza lavorare, senza affaccendarsi in incombenze domestiche, etc.

Ma anche, senza controllare le mail, senza passare da un social a un altro.

Svuotare la propria giornata, anche solo per qualche ora, può generare una forma d’ansia.

In realtà, a ben vedere, oziare non coincide per forza una sospensione totale di ogni attività.

Semmai, può identificarsi con un rapporto di maggiore rilassatezza con se stessi e il proprio agire.

Un esempio può essere la lettura di un libro, o la visione di una serie tv.

Spesso ci si lamenta della percezione di non avere mai tempo libero.

Poi però il cosiddetto horror vacui fa più spavento dell’iperattività. 

Così, si forzano continuamente i propri limiti di “faticabilità” pur di non smettere di girare come trottole.

Perché il non fare niente genera ansia?

L’ansia legata all’ozio e al riposo, di solito, ha una doppia radice.

La prima è sociale.

Viviamo in un’epoca morbosamente orientata al movimento continuo.

Prendersi del tempo per riposare, a tanti, sembra un capriccio di pigrizia.

L’ozio si muove in direzione contrara all’imperativo di efficienza costante del mondo contemporaneo.

Si vive con ansia il proprio far niente perché l’inattività impedisce di ricavare il meglio da sé.

O almeno, così sembrerebbe…

«Perché dovrei star fermo, se posso utilizzare questo tempo per migliorarmi?

Perfezionarsi a ogni costo diventa un obbligo.

Concedersi qualche pausa significa quindi attardarsi rispetto alla realizzazione del proprio futuro.

Esiste quindi un’ansia connessa a ciò che si sarà (e si farà).

Ma esiste anche un’ansia che guarda al proprio presente.

Stare senza far niente significa… pensare.

Ovvero, vuol dire concentrarsi su se stessi e sui propri pensieri.

Aprire una finestra sul proprio Io, per più di qualcuno, è la fonte principale d’ansia.

Il fare a ogni costo diventa una distrazione dalla propria persona.

Non far niente… e psicoterapia

Una condizione personale di impegno cronico è un fattore di stress psicofisico riconosciuto.

Diversi studi concordano, invece, sull’evidenza che il riposo è fondamentale all’attività e alla creatività.

Serve l’uno come l’altro.

La sensazione di non riuscire a far nulla può mascherare una forma di depressione.

Anche il contrario, però, la sensazione di dover fare per forza, è uno stato che mette a rischio il nostro equilibrio.

Che cosa c’entra la psicoterapia con tutto questo?

Un percorso di psicoterapia personale può svolgere una doppia funzione:

  • può aiutare a recuperare un rapporto più disteso con il proprio agire;
  • può sviluppare consapevolezza sul perché è così difficile stare da soli coi propri pensieri.

Se star fermi genera ansia, è perché viene vissuto come un’esperienza “minacciosa”.

L’obiettivo di una psicoterapia è arrivare al cuore di questa agitazione interna.

L’iperattività cronica ha un costo in termini di fatica fisica e mentale.

Migliorare la propria gestione del tempo e dell’impegno passa per una migliore comprensione di se stessi.

O anche, per una maggiore autocoscienza sul proprio sentirsi inetti nel momento in cui… si perde tempo.

Francesco Rizzo

Psicologo Psicoterapeuta Padova