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Perché accontento sempre gli altri (e scontento me stesso)?

Per alcune persone, accontentare gli altri suona come un dovere.

Chi prova questa sensazione, è come convinto di non avere alternativa.

Ma cosa si intende, di preciso, con la formula accontento sempre gli altri?

Si fa riferimento a una forma di condiscendenza che risulta eccessiva.

In altre parole, si assecondano gli altri qualunque sia la loro esigenza (o quasi).

Senza dubbio, una certa flessibilità di fronte alle richieste degli altri è utile.

D’altro canto, se… accontento sempre gli altri, mi espongo al rischio di non accontentare (mai) me stesso.

È il punto nevralgico di questa autoimposizione.

A voler compiacere sempre gli altri si finisce per ignorare il proprio benessere.

Soprattutto se il proprio benessere risulta incompatibile con quello altrui.

Potremmo ricorrere a tanti esempi, più o meno banali, più o meno comuni:

Non ho alcuna voglia di uscire, ma se qualcuno me lo chiede, non so dire di no…

Vorrei sfogarmi e parlare dei miei problemi, invece non faccio che ascoltare gli altri…

Il mio partner mi ha fatto una richiesta che vorrei rifiutare, e invece dico “sissignore”…

Da cosa dipende questo imperativo a compiacere chi ci sta intorno e a trascurare i nostri bisogni?

Accontento sempre gli altri perché così guadagnerò il loro amore

C’è un senso, in questo non ascoltarsi.

È un senso che potremmo definire auto-sabotatorio.

Mettere gli altri al primo posto permette una forma di “ricavo” emotivo.

La persona che accontenta sempre (e solo) gli altri è una persona che non si piace.

Sacrificare i propri bisogni per quelli degli altri significa guadagnare punti.

Vale a dire, permette – nella percezione di chi ricorre a questa soluzione – di sentirsi amabili.

La convinzione interiore della persona che accontenta gli altri è più o meno questa:

non ho speranze di piacere per quello che sono
per questo, dovrò piacere per quello che faccio per gli altri

Chi “deve” accontentare sempre gli altri, vive un deficit di autostima considerevole.

Per chi è iper-condiscendente, l’autostima dipende dagli altri più che da sé.

Eppure, piacere a tutti è impossibile, oltre che rischioso nei confronti del nostro benessere.

Accontentare se stessi (anche con la psicoterapia)

Possiamo recuperare una radice più incisiva del verbo accontentare-accontentarsi.

Pensare alla propria “contentezza”, cioè alla propria serenità, è necessario.

Legare il proprio benessere alla realizzazione delle richieste dell’altro è sfibrante.

La poca auto-considerazione per i propri bisogni – emotivi e concreti – non li cancella.

Semplicemente, li mantiene irrisolti.

E invece, avere attenzione per se stessi non esclude la possibilità di essere anche sensibili a chi ci sta intorno.

Recuperare una percezione più equilibrata del rapporto tra sé e gli altri diventa allora fondamentale.

Questo recupero passa anche per un necessario lavoro sulla propria immagine di sé.

L’autostima può essere rinforzata se si arriva alla radice del problema.

Ovvero, se si arriva a capire in profondità cos’è che la rende così intermittente o deficitaria.

In che modo agisce la psicoterapia?

Un percorso di psicoterapia permette di raggiungere e analizzare le ragioni più profonde del proprio malessere.

In questo caso, permette di comprendere quali sono le cause, specifiche ma nascoste, della propria sfiducia in se stessi.

Allo stesso tempo, consente anche di superare l’idea di valere solo se si dà qualcosa agli altri.

Un obiettivo di questo tipo passa per una sempre più profonda auto-consapevolezza dei propri “meccanismi”.

Cominciare ad accontentare se stessi può essere il primo passo di un percorso necessario.

Francesco Rizzo

Psicologo Psicoterapeuta Padova