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«Non mi piaccio»

«Non mi piaccio» è una frase che, nella stanza di terapia, si sente più spesso di quanto si possa credere.

Può essere declinata in forme diverse, talvolta più sintetiche, talvolta più elaborate.

Ad esempio, da qualcuno viene espressa in modo molto diretto, e fare riferimento a specifiche caratteristiche ritenute spiacevoli.

Non mi piaccio, però, rappresenta anche la forma condensata di discorsi più ampi legati alla percezione di come si è, e di come si appare agli occhi degli altri.

Quindi, pur non essendo pronunciata esplicitamente, è una frase che sembra descrivere in profondità una sensazione soggettiva di inadeguatezza.

Il non piacersi può avere a che fare con

  • connotati fisici ritenuti poco attraenti;
  • attributi caratteriali sentiti come sgradevoli (a se stessi e agli altri);
  • una combinazione di questi due fattori.

È una sensazione che può accompagnarsi a vergogna e ansia relazionale.

Anche la cosiddetta contattofobia, la paura di toccare e farsi toccare dagli altri, ha a che fare col non piacersi e con la convinzione di non piacere agli altri.

Sentirsi così poco a posto con se stessi è una condizione svantaggiosa sia in un senso più “pratico” sia in un senso più profondo.

Lo svantaggio, nell’immediato, è quello di “impedirsi” occasioni relazionali e sociali anche di tutti i giorni (es. invitare una persona a prendere un caffè).

Nel profondo, invece, la certezza di non essere apprezzabili intacca un bisogno identitario tra i più importanti.

Parliamo del bisogno di sentire che possiamo piacere agli altri esattamente per quello che siamo.

Il principio di inattraenza

La convinzione di non poter piacere agli altri e la sensazione di non piacersi sono resistenti a qualsiasi smentita.

Chi si sente così poco attraente, racconta spesso che ricevere apprezzamenti e attestati di stima non cambia la situazione:

«Non mi piaccio, anche se le persone intorno mi trovano attraente…»

C’è come un “principio di inattraenza“, un motivo quasi concreto che spiega il perché di questo sentirsi così poco appetibili.

Questo principio si connette alla sensazione di… essere un bluff: vale a dire, di non essere la persona che gli altri credono.

La persona che non si piace è certa di avere delle caratteristiche spiacevoli; gli altri, al massimo, non se ne rendono conto.

Insomma, c’è qualcosa dentro che convince di non essere apprezzabili, qualcosa che va al di là della realtà esterna.

Per l’appunto, è come un principio di fondo, una certezza ancorata in una parte molto intima di se stessi.

È proprio una questione di identità: a ben vedere, quel non mi piaccio riguarda sempre la totalità della persona più che una singola caratteristica.

Ed è proprio per questo che rappresenta una condizione esistenziale così dolorosa.

Psicoterapia dell’autostima?

Risulta evidente come, alla base di questa profonda insicurezza in se stessi, alberghi una consistente vulnerabilità di autostima.

Il non piacersi è legato alla sensazione di non poter essere speciale per nessuno.

Non basta ricevere feedback positivi dagli altri per sbarazzarsi di questa certezza.

Intervenire su questa sensazione così interna significa fare un lavoro di “scavo” interiore per raggiungerne le cause profonde.

Come detto, la sensazione di essere inapprezzabili va ben al di là della realtà concreta, di un difetto evidente nel corpo o di una debolezza caratteriale.

Ciò che va individuato è la radice profonda che dà nutrimento a questa certezza di inattrattività.

La psicoterapia, in questi casi

  • nell’immediato contribuisce ad alleggerire quello stato di tensione constante con se stessi, e anche di senso di vergogna, o colpa;
  • a lungo termine aiuta a far luce su ciò che si percepisce in se stessi di “sbagliato” o fuori posto.

Lavorare sull’autostima di una persona è un compito complesso, perché l’autostima è una componente tanto fondamentale quanto delicata dell’identità personale di ciascuno.

Rinforzarsi nella propria autostima soggettiva però, aiuta a “perdonarsi” di quei difetti percepiti così intollerabili.

Allo stesso tempo, consente di valorizzare la propria, specifica unicità.

Francesco Rizzo

Psicologo Psicoterapeuta Padova