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Lockdown volontario?

Hikikomori significa letteralmente isolarsistare in disparte.

Importato dal Giappone, il termine hikikomori designa oggi una specifica condizione di disagio psicologico in adolescenza.

Si parla, a tal proposito, di ragazzi hikikomori.

“Hikikomori”, insomma, diventa un aggettivo che inquadra una categoria di persone che sceglie volontariamente di ritirarsi dal mondo sociale.

Avere un figlio hikikomori è un’esperienza particolarmente dolorosa per un genitore.

Ed è, naturalmente, un’esperienza dolorosa anche per il ragazzo… nonostante il ritiro sociale sia una scelta personale.

Con un figlio hikikomori, per i genitori la sensazione è quella di un lento lasciarsi morire: non nel corpo, ma nelle emozioni.

Per i ragazzi hikikomori, la vita si appiattisce alla stanza in cui vivono, e l’unico pertugio di spazio esistenziale si trasferisce sul web.

Caratteristiche psicologiche dell’hikikomori

Come accennato, l’adolescente hikikomori oppone un rifiuto a qualunque forma d’interazione sociale.

Esprime, per contro, una ferma intenzione a rimanere da solo e a estinguere ogni contatto con gli altri.

Per un genitore di figlio hikikomori assistere a questo lento spegnimento relazionale è allo stesso tempo frustrante e sorprendente.

In particolare, è difficile credere che un adolescente possa rintanarsi in un guscio e rifiutare ogni rapporto col mondo esterno; è difficile credere che sia la sua più ostinata volontà, e che non ci siano ragioni alternative.

Eppure, in cuor suo, l’adolescente hikikomori ha un motivo valido per ritirarsi.

È la paura dell’altro.

Proviamo a spiegare meglio.

Per l’adolescente hikikomori, l’idea della relazione con l’altro è spaventosa.

Chi intendiamo con altro?

I compagni di classe, tanto per cominciare.

I potenziali partner sessuali, ovvero le persone da cui si sente attratto sessualmente.

Ma in realtà, la categoria si estende a… tutti: il commesso di un negozio, il controllore su un tram, e così via.

Un senso di profonda inadeguatezza personale è alla base di questa paura.

Una percezione di esclusione dalle consuete forme di appartenenza e scambio sociali.

L’adolescente hikikomori si sente diverso, e non riesce a sintonizzarsi con i discorsi dei coetanei, magari non ne condivide nemmeno gli interessi.

Vive però il timore di essere scoperto: ossia, che le altre persone si accorgano della sua diversità… del suo essere “strano”.

L’adolescenza è l’età che, per eccellenza, pone la sfida della socializzazione, poiché è l’epoca in cui la persona comincia a sperimentare relazioni molto più intense e profonde.

Si cementano le amicizie più importanti e nascono i primi amori.

L’hikikomori sente di non potersi calare in questa sfida: non se ne sente all’altezza.

Per questo, preferisce defilarsi.

Lasciarsi dimenticare.

I segnali d’allarme dell’hikikomori

La condizione hikikomori si consolida nel corso dello sviluppo.

Di solito, i primi segnali coincidono con un certo tipo di reazione a delle delusioni personali.

Quelle più immediate da osservare possono essere le delusioni scolastiche: un cattivo rendimento, un rapporto difficile con uno o più insegnanti, etc.

Delusioni personali, ovviamente, possono essere anche quelle che intaccano più direttamente la sua sfera personale: la difficoltà a farsi degli amici, o un rifiuto da parte di un potenziale partner.

C’è però una specifica caratteristica che contraddistingue la reazione di un (futuro) hikikomori: è la vergogna.

L’hikikomori sembra maturare una convinzione:

«È a causa delle mie caratteristiche e della mia personalità che non ho modo di relazionarmi con gli altri.»

Insomma, la causa delle sue incomprensioni con l’altro… è lui stesso.

Di fronte a questa evidenza (del tutto personale, ovviamente), l’adolescente hikikomori… si arrende. Depone le armi.

Il ritiro sociale gli dà una sensazione di sollievo.

La partita è finita, non dovrà più confrontarsi con gli altri e con la certezza di sentirsi perdente.

Aiutare un hikikomori

Restituire una vita di relazione a un adolescente hikikomori è complesso.

E la ragione sta proprio in quella sensazione di sollievo descritta qualche rigo fa.

Isolato, senza rapporti, l’adolescente hikikomori sente di star bene.

Sente che per lui è l’unica soluzione possibile per continuare a vivere.

Molto spesso, e per ragioni perfettamente comprensibili, la reazione d’allarme dei genitori si traduce in comportamenti iperattivi nei confronti del figlio hikikomori.

Vale a dire?

Il tentativo di incoraggiarli, di continuo e con grande coinvolgimento, a uscire dalla stanza.

Come se fosse facile…

I genitori alle prese con un figlio hikikomori, ovviamente, vivono una tale frustrazione che la soluzione della “pazienza” appare impossibile.

Se si vuole aiutare un figlio hikikomori, però, il primo passo è riconoscere la sua sofferenza. Anche se non la comunica esplicitamente.

La sofferenza è una condizione difficile. Sembra banale, ma va sottolineato.

Per difficile s’intende una cosa molto semplice: che non è possibile intervenirvi in maniera rapida, immediata, con una soluzione elementare.

Comprendere questa sofferenza, però, può consentire una prima apertura: significa far pervenire al ragazzo il messaggio che la sua condizione di difficoltà non è sottovalutata. Insomma, è come dirgli:

No, nessuno pensa che sia facile per te uscire da questa stanza.

Tutto quello che viene dopo, è frutto di questo delicato e fondamentale passaggio.

Anche un percorso di psicoterapia, che all’inizio può essere visto dall’adolescente hikikomori come il peggiore dei mali.

La psicoterapia mette in discussione sicurezze apparentemente funzionali.

L’isolamento relazionale dell’hikikomori è sicuramente una di queste.

La psicoterapia online con l’adolescente hikikomori

La psicoterapia con un ragazzo hikikomori molto spesso è una psicoterapia online.

La possibilità d’intraprendere un percorso a distanza, che non lo “stani” dalla sua stanza, è fondamentale, perché consente al ragazzo di sentire che il suo mondo personale, la sua comfort zone, è ancora lì.

La psicoterapia online salvaguarda il suo bisogno di isolamento ma, allo stesso tempo, interviene attivamente sul problema.

Passare dalla psicoterapia online alla psicoterapia dal vivo è senz’altro possibile, ma all’inizio è complicato, o persino controproducente, perché va in direzione del tutto contraria alla sua esigenza di ritiro sociale.

Anche questa attenzione alle sue necessità contribuisce a passargli il messaggio che si prova a capire la sua condizione, e nulla è fatto contro la sua volontà.

La psicoterapia online può essere la soluzione per approfondire le cause più intime del malessere del ragazzo, e agire su di esse.

Intervenire su una condizione di hikikomori non significa trasformare un ragazzo da introverso a estroverso. Nessun cambiamento può essere così netto.

La psicoterapia, però, può contribuire a restituire al ragazzo, almeno in parte, il senso profondo della relazione, dello scambio con le altre persone.

Non significa, insomma, costringere il ragazzo a un’abbuffata forzata di interazioni.

Significa re-introdurre, nella sua esistenza, un’alternativa all’isolamento totale.

Francesco Rizzo

Psicologo Psicoterapeuta Padova

Psicologo Psicoterapeuta Padova