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Iscriversi o non iscriversi: cosa comporta?

L’iscrizione all’università è una tappa fondamentale nel percorso di crescita di un adolescente. 

Per molte famiglie, la non-iscrizione all’università di un figlio si trasforma in un momento di stress emotivo ingente. 

La decisione di continuare il proprio percorso di studi, oppure d’interromperlo dopo le superiori, è forse la prima che l’adolescente percepisce di poter prendere in autonomia quasi totale

Può succedere, quindi, che questa scelta finisca per diventare espressione di un gioco di forza, come una sorta di braccio di ferro tra famiglia e adolescente:

«scelgo di non iscrivermi all’università – e quindi di infliggervi una delusione… – perché voglio affermare con decisione la mia indipendenza decisionale!»

Il pensiero implicito, nella scelta di non iscriversi all’università e magari cercare un lavoro, va in questa direzione.

Ma non è tutto qui.

Nella presa di posizione di un figlio che non vuole iscriversi all’università sono in ballo questioni emotive di grande rilevanza.

Il… problema nel problema è che questioni emotive altrettanto consistenti entrano in gioco anche nella mente dei genitori.

Genitori e figli: posizioni a confronto

In adolescenza il tema della scelta è particolarmente delicato.

Da un lato, i ragazzi ci tengono ad assumersi quanto più possibile la “titolarità” delle loro decisioni.

Dall’altro, non vogliono esporsi al rischio di una situazione che faccia emergere quelli che loro sentono come dei limiti personali:  

«L’università non fa per me, rischierei di fallire!»

A ben vedere, anche la posizione di un genitore che insiste affinché il proprio figlio si iscriva all’università, ha a che fare col senso del limite

Parliamo, innanzitutto, del senso di limite personale rispetto alle decisioni individuali dei propri figli:

«Quanto posso davvero lasciare libero mio figlio di decidere?»

La risposta a una domanda come questa è molto più impegnativa di quello che sembra, soprattutto se si ha la sensazione che la scelta sia quella sbagliata, e che quell’errore potrà condizionare l’intera vita del ragazzo.

C’è però anche un’altra questione che orbita intorno al tema dell’università e ha a che vedere con il limite.

È un senso di limite, per così dire, ancora più personale: riguarda l’idea che il non iscriversi all’università segnali un fallimento personale come genitori

«Nostro figlio non vuole iscriversi all’università: dov’è che abbiamo sbagliato come genitori?»

Per molte famiglie è difficile accettare che una scelta come quella di non iscriversi all’università possa essere, in qualche modo, la scelta giusta.

La non iscrizione diventa quindi una sorta di macchia sulla fedina familiare. 

Il risultato di un fuoco incrociato di posizioni come quello appena descritto è una tensione difficile da sciogliere: ciascuna parte in causa difende le proprie motivazioni e fa fatica a cogliere la ragionevolezza di quelle altrui.

Venirsi incontro?

Sembra banale, ma quello che serve in questo caso è proprio uno sforzo di comprensione.

Un tentativo di capire non soltanto la posizione del figlio, nel caso dei genitori, o dei genitori, nel caso del figlio.

È necessario anche penetrare più a fondo le ragioni che spingono

  • il figlio a rifiutare l’idea dell’università (ad es. per paura del fallimento);
  • i genitori a rifiutare l’idea che il proprio figlio non si iscriva all’università, come se all’università non esistesse alternativa valida

Parlare di università significa parlare di futuro, ed è del tutto normale che immaginare il futuro esponga a dubbi e insicurezze

La soluzione a un impasse di questo tipo, però, passa proprio per la possibilità di affrontare insieme i reciproci punti di vista, comprendendo e non giudicando le ragioni delle posizioni assunte.

 

Francesco Rizzo

 Psicologo Psicoterapeuta Padova