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Che cos’è la preoccupazione genitoriale?

La risposta potrebbe sembrare banale: la preoccupazione genitoriale è lo stato di apprensione che un genitore sperimenta nei confronti del proprio figlio.

Eppure, la domanda nasconde più di qualche insidia.

Tanto per cominciare:

Per cosa deve preoccuparsi un genitore?

Oppure

In che misura deve preoccuparsi un genitore?

Oppure ancora

Nella fase dell’adolescenza, le preoccupazioni di un genitore sono diverse da quelle che riguardano l’età dell’infanzia?

Entrambe queste “sotto-domande” ampliano il raggio della questione che riguarda la preoccupazione genitoriale.

Le situazioni che in adolescenza possono produrre ansia nei genitori sono molteplici:

Il punto nevralgico del discorso è che questi rischi non sono sempre evidenti. Ciascuna delle situazioni sopra elencate è degna di attenzione, ma non necessariamente balza all’occhio.

In adolescenza, la dimensione del segreto assume un valore particolarmente importante.

Vale a dire: molti adolescenti sono esposti ai rischi di cui sopra, ma tengono per sé queste esperienze.

Anche le ragioni di questa ritrosia a parlare con gli adulti sono molteplici. 

La combinazione di situazioni ad alto rischio e difficoltà di comunicazione con i figli fa quindi emergere un quadro allarmante.

Quand’è che diventa “giusto” preoccuparsi?

Anche in questo caso la risposta potrebbe sembrare banale:

è legittimo preoccuparsi quando un figlio comincia a manifestare dei cambiamenti nel proprio comportamento.

In realtà, questa argomentazione così come le altre elencate è meno “semplice” di quanto sembri.

Parlare di cambiamenti nel proprio comportamento, in adolescenza ma anche in età adulta, non significa per forza parlare di trasformazioni clamorose.

Al contrario, molto spesso significa parlare di “modifiche” anche piuttosto sottili, che però possono emergere a un esame attento della situazione. 

C’è da dire che una larga parte della vita in adolescenza è trascorsa al di fuori delle mura domestiche, dunque, lontano dagli occhi dei genitori.

La sfida, complessa, è mantenere sempre alta l’attenzione nei confronti dei microcomportamenti e dei macrocomportamenti dell’adolescente senza fargli percepire, allo stesso tempo, una preoccupazione da lui ritenuta eccessiva.

Qual è il rischio di questa “preoccupazione eccessiva”?

Il primo è che il ragazzo si chiuda a riccio

Di fronte a un’apprensione intensa, l’adolescente può sentire dentro di sé l’impressione di essere sbagliato, o comunque, fonte di stress emotivo per i propri genitori

Questa percezione può portarlo a tenere ancora più isolati e nascosti i nuclei “a rischio” dei suoi comportamenti.

Un altro rischio è che una preoccupazione esorbitante porti anche i genitori a reazioni spropositate (naturalmente in buona fede). 

Tali reazioni però hanno l’effetto di ostacolare la relazione e le comunicazioni ancora più di quanto non sia già

La preoccupazione genitoriale diventa, perciò, anche una questione di “misura”

L’adolescente deve avvertire la presenza e l’interesse costanti dei suoi genitori, ma nel contempo non deve sentirsene soffocato.

Come esprimere la preoccupazione genitoriale?

Fare domande al ragazzo su cosa ne pensa di determinate situazioni a rischio è senz’altro un buon modo per cominciare a creare un canale di comunicazione su questi argomenti. 

Un buon “gancio” può arrivare, ad esempio, dal commento che si può costruire insieme su fatti di cronaca.

Piuttosto che esprimersi con frasi del tipo 

«Hai visto cosa è successo con quei ragazzi a Milano? Sono scioccata!»

può essere preferibile mantenere un tono più neutro, e magari avanzare il discorso domandando direttamente a lui/lei

«Hai visto cosa è successo con quei ragazzi a Milano? Tu che ne pensi? Come la vedi?

Un approccio di questo tipo produce due vantaggi:

  • non fa sentire inchiodato il ragazzo, che magari anche solo in parte si identifica con i protagonisti del fatto di cronaca ma sente forte e chiaro che un simile comportamento potrebbe motivo di preoccupazione e di critica nei suoi confronti («se mia madre/mio padre si sono scioccati a sentire questa storia con delle persone esterne, figurati se scoprissero che anch’io…!»);
  • pone il ragazzo nella posizione di essere ascoltato, o per meglio dire, di sentire che la sua opinione ha un senso profondo per i genitori.

È come se il messaggio indiretto in questo tipo di comunicazione sia

«Ti trattiamo come un esperto: non ci preoccupiamo prima di conoscere per bene le cose, e chiediamo a te di spiegarcele.

Più che trasmettere preoccupazione in senso stretto, un atteggiamento di questo tipo denota, agli occhi del ragazzo, interesse e curiosità non morbosa.

A partire dalle sue risposte (non quindi dalle considerazioni preventive dei genitori) è possibile allacciare un dialogo su questioni “calde”, che permettano al ragazzo di sentirsi al centro di un confronto, piuttosto che di un rimprovero

In generale, per fare un esempio, l’adolescenza è una stagione della vita nella quale la percezione del rischio può essere facilmente distorta

Una reazione genitoriale a questa evidenza può essere quella di “imporre”, anche senza volerlo, una visione del mondo più ponderata.

Nulla di sbagliato in tutto questo, se non il fatto che il ragazzo può sentire questa trasmissione di informazioni come un’imposizione (e quindi, subire il… fascino della ribellione).

Al contrario, dialogare sulle ragioni di uno stile di comportamento “sano” è un’operazione che può ammorbidire la sua posizione difensiva, sempre pronta a scattare.

Molti ragazzi si divincolano dai tentativi di confronto con i propri genitori.

Occorre, in tal senso, grande pazienza per tollerare le potenziali prime risposte di rifiuto.

Una “cauta insistenza”, diluita nei giorni e nelle settimane, può fare breccia nella resistenza del ragazzo, facendogli percepire che il suo punto di vista è importante.

 

Francesco Rizzo

 Psicologo Psicoterapeuta Padova